Due alpinisti italiani, per l’esattezza valtellinesi, Federico Secchi e Marco Majori, che avevano per obiettivo la discesa con gli sci dal K2, la seconda montagna più alta del mondo con suoi 8611 metri, sono stati soccorsi da un team internazionale costituito da italiani, francesi, peruviani e pakistani.
Poteva essere una tragedia, non lo è stata perché ognuno ha messo in gioco se stesso, anche se stanco, anche se stremato da una salita e da una discesa da quella che resta una delle montagne più impegnative, anche dalla via normale.
Eppure si credeva che dallo scorso anno anche questa montagna, come già l’Everest e altri 8000 mila, dove l’unico aspetto che conta è la prestazione, fosse stata abbandonata dal senso di solidarietà che dovrebbe contraddistinguere il genere umano.
Ci piace pensare sia stata l’opera dell’artista italiano, un biellese, Paolo Barichello, DX PEACE SX, una ricomposizione dei continenti che disegnano una colomba simbolo di pace, portata al campo base dalla spedizione targata CAI Biella, a ridestare questo sentimento così importante, se non fondamentale.
Un portatore, Mohammad Hassan, non adeguatamente formato, non adeguatamente attrezzato, ma con la necessità di maggiori introiti per garantire un futuro ai suoi quattro figli, lo scorso anno moriva nell’indifferenza di chi era diretto alla vetta. Il suo corpo è stato recuperato solo oggi 1° agosto. Anche il suo nome meriterebbe di essere inciso nel memorial degli alpinisti che quella montagna ha chiesto in sacrificio.
In questa stagione, dove fino ad ora c’è stata un’unica finestra di bel tempo, a lasciare la propria vita sui ghiacci che qui sembrano non subire gli effetti dei cambiamenti climatici, sono stati due fortissimi scalatori giapponesi, delle star in patria; tentavano di aprire una nuova via,mai come quest’anno un azzardo, sul versante ovest della parete sud. I loro nomi certamente troveranno posto su quel dorsale roccioso dove sono iscritti i nomi, tra gli altri, di Mario Puchoz, il più forte e il destinato ad essere lui, se non colto da edema polmonare, uno dei due italiani che 70 anni fa avrebbero conquistato la vetta della montagna che già il Duca degli Abruzzi, con al seguito Vittorio Sella, tentò di vincere nel 1909.
Non ci saranno quelli dei due valtellinesi. Questa mattina Federico Secchi e Marco Majori sono stati trasferiti, con elicottero militare, dal campo base, dove erano arrivati ieri sera, a Skardu. Se il primo è apparso sfinito, il secondo ha riportato una sospetta frattura a una spalla provocata dalla caduta in un crepaccio.
Ma cerchiamo qui di ricostruire l’accaduto.
Federico e Marco, scialpinisti esperti, decidono di cimentarsi, per celebrare i 70 anni della prima ascensione del K2, nella sua salita e discesa con gli sci. Non è una prima assoluta ma sono stati pochi, sino ad ora, a sfidare il gigante con i due legni. I due approfittano, come tanti, della finestra di bel tempo, l’unica fino ad ora, della stagione. Così venerdì 26 luglio, in serata, con Federica Mingolla e Silvia Loreggian, della spedizione femminile K2-70, diretta dal veterano Agostino Da Polenza, decidono di partire per la vetta.
Sabato mattina, il 27 luglio attorno all 5 sono ai 6700 metri del campo due, riposano qualche ora e ripartono per il campo 3. Arrivano alla sera. Siamo a quota 7360 metri. Federica e Silvia non stanno troppo bene e decidono di scendere. È domenica 28 luglio, giorno in cui Tommaso Lamantia del team CAI Biella raggiunge in 14 ore la vetta e Matteo Sella, dello stesso team, provato da giorni di malessere che hanno compresso la sua completa acclimatazione, decide di fermarsi a 8200 metri.
Federico e Marco raggiungono i 7800 metri del campo 4 e allestiscono un ricovero. I due valtellinesi ripartono lunedì mattina, per affrontare gli 800 metri di dislivello che li separano dalla vetta. Federico raggiunge la fatidica quota di 8611 metri intorno alle 17, Marco non ne ha più e si ferma a 8500.
Inizia la travagliata discesa.
In serata i due amici riescono a scendere al campo 4, sono stanchi e forse sono già senz’acqua e senza la possibilità di sciogliere la neve e così procurarsene.
Martedì 30 luglio, al mattino temporeggiano; non sanno se tentare la discesa in sci lungo la linea della via Česen o la via normale. Optano per la seconda, anche se con il senno del poi, considerata la situazione meteo, si sarebbe forse rivelata una soluzione migliore. Sono infatti avvolti dalla nebbia. Poco dopo avere iniziato la discesa Marco cade in un crepaccio, procurandosi una sospetta frattura alla spalla; ci vorrà più di una ora prima che possa riuscire ad uscirne con le sue sole forze. L’amico è più a valle. Intanto al campo base cresce la preoccupazione. I due sono lenti e mandano richieste tali da far pensare che qualcosa, lassù non vada per il meglio. I due a fatica raggiungono il campo 3. Scatta il piano d’emergenza che vede impegnati in prima persona Agostino Da Polenza, Tommaso Lamantia, che oltre ad essere membro del Club alpino accademico è anche membro del Soccorso Alpino, e il francese Yean YvesFredisken. Questi ultimi due sono scesi da poco dal K2 e conoscono le condizioni della via.
Al campo 2 ci sono i francesi Benjamin Véndrines e Seb Montaz. Il primo aveva raggiunto la vetta domenica segnando il record di salita in 11 ore e 59 minuti. Sono lì per recuperare il materiale utilizzato per la salita. Quando sanno dei due italiani in difficoltà sono i primi a proporsi di raggiungerli al campo 3 nonostante abbiano scarpe e abbigliamento adatto a quote non così alte. Recuperano dell’ossigeno trovato al campo 2 e se lo caricano a spalle. Sarà fondamentale perché intanto Marco va incontro a un edema e non parla più. Intanto i soccorritori, tutti volontari, vengono divisi in quattro squadre. Quella dei due francesi è considerata la prima e deve arrivare a portare il primo soccorso al campo 3, la seconda deve arrivare al campo 2, la terza al campo 1 e la quarta al campo avanzato. Delle squadre fanno parte gli alpinisti del CAI Biella Gian Luca Cavalli (accademico) e Cesar Rosales (peruviano ma biellese d’adozione), reduci dagli 8067 metri del Broad Peak, Tommaso Lamantia e Matteo Sella, reduci dall’esperienza K2 con Matteo ancora provato da un fastidioso mal di denti, e il medico di spedizione Donatella Barbera.
Fanno ancora parte le italiane Federica Mingolla, Silvia Loreggian e Anna Torretta della spedizione femminile e con loro l’operatore di droni e i biellesi Pietro e Leonardo Sella arrivati al campo base con l’obiettivo di rifare alcuni degli scatti del loro avo, il pioniere della fotografia di montagna Vittorio Sella, fatti nel 1909.
Hanno portato il loro aiuto anche i francesi Zeb Roche, Liv Sanzoz, Thibout Marot, e gli alpinisti pakistani Alí Durani, Abid Baig e Nazir.
Le operazioni di soccorso si sono chiuse ieri sera, mercoledì 31 luglio. La tensione si è sciolta ed è stato il momento di una fraterna e conviviale cena al campo italiano della spedizione femminile.
Indispensabile, oltre all’ossigeno, e ai farmaci , si è rivelata una barella recuperata nel presidio sanitario pakistano presente al campo che ha permesso di superare agevolmente i circa 5 km che dividono il campo base avanzato dal campo base.
Una scelta, quella di Gian Luca Cavalli e Cesar Rosales del team CAI Biella, di partecipare ai soccorsi che ha fatto perdere ai due la finestra di bel tempo per tentare la vetta. Da domenica il tempo dovrebbe peggiorare e entro i prossimi giorni tutte le spedizioni ancora presenti lasceranno il campo base. Dovessero avere problemi in quota non ci sarebbe nessuno a poterli aiutare e la prossima finestra di bel tempo non sarà prima del 10 agosto. <<Nessun rimpianto. Abbiamo fatto quello che è giusto. La cima è sfumata, ma, come capo spedizione, posso essere soddisfatto. Io e Cesar siamo saliti sul Broad Peak (8067), Dario Rainiero si è fermato a pochi metri. Tommaso Lamantia porta il CAI Biella in vetta al K2 e Matteo Sella, considerati i problemi di salute, può essere contento dei suoi 8200 metri>>, dichiara Gian Luca Cavalli.
Andrea Formagnana
Presidente CAI Biella